Nel luglio 2002, diciassette anni dopo, fui inviato da un giornale al quale collaboravo a vedere cosa fosse successo a Sharm el Sheik. Partii con previsioni funeree date le notizie che su questi luoghi mi provenivano. Trovai la costa del Sinai, che nel 1985 era completamente brulla e desertica, completamente cambiata, ricoperta di immense costruzioni turistiche, ma anche di palme e altre essenze, piantate a migliaia, che avevano cambiato totalmente il paesaggio originario
l’ambiente che si va a visitare.
Molte volte ho condotto dei viaggi, andando a visitare delle zone bellissime in varie parti del mondo. E ho sempre osservato i comportamenti dei miei compagni di viaggio. Ad esempio, quando ho guidato anni fa un gruppo di giornalisti nelle Filippine, avevo chiesto loro di non raccogliere o acquistare conchiglie e altri souvenir vietati, come il corallo nero, oggetti di tartaruga, ecc. Purtroppo alla fine è successo quello che non avrebbe dovuto succedere. La maggior parte del gruppo si è precipitata nei vari mercatini a comprare cose vietate. Portare a casa il souvenir – il braccialetto di peli d’elefante, il coccodrillino impagliato, l’oggettino di avorio oppure la statuetta di legno tropicale vietato, come il mogano o il palissandro del Madagascar – è sempre oggetto di una spinta irrefrenabile che danneggia l’ambiente e impoverisce la biodiversità del Pianeta.
Ma c’è anche un lato positivo del turismo. Ed è che, senza di esso – ad esempio nei parchi nazionali – molte zone oggi bellissime sarebbero andate distrutte. Non so come i masai del Kenya avrebbero potuto conservare dei loro territori se non avessero avuto la possibilità di trarne del reddito. È stato, infatti, calcolato che un leone ucciso legalmente da un cacciatore (pur se a caro prezzo) rende molto meno di un leone vivo perché quest’ultimo è possibile vederlo e ammirarlo per migliaia di volte da decine di migliaia di turisti. E ogni volta suscita emozioni e coinvolgimenti contribuendo così non poco all’economia locale.
Il turismo può essere dunque un fatto molto positivo soprattutto per il cosiddetto Terzo Mondo, a condizione però che si entri nei luoghi con attenzione, con un senso di solidarietà e di rispetto per le tradizioni locali e l’ambiente naturale.
Molti sostengono che “il turismo distrugge tutto”. E, in effetti, esistono isole ed atolli (come nelle Maldive) che sono stati spesso sfruttati a fondo dai tour operator, senza tener conto del fatto che insediarvi un resort – con i suoi scoli, i detersivi, etc. – significa spesso distruggere la barriera corallina e la trasparenza delle acque, inducendo i turisti ad abbandonare quella meta.
È necessario pertanto tener ben distinto un certo tipo di turismo “positivo” e un turismo da considerare “negativo”, in cui la spinta alla speculazione e allo sfruttamento la fa da padrona.
Ma a questo proposito, per spiegare che non tutto il male vien per nuocere, voglio raccontare un’esperienza personale che risale al 1985, quando decisi di visitare la barriera corallina del Mar Rosso, allora in territorio israeliano, un luogo in cui è presente la più bella barriera corallina del mondo. E il luogo corrispose alle aspettative: era il più bel reef (e ne conosco tanti) che avessi mai visto. Nel luglio 2002, diciassette anni dopo, fui inviato da un giornale al quale collaboravo a vedere cosa fosse successo a Sharm el Sheik. Partii con previsioni funeree date le notizie che su questi luoghi mi provenivano. Trovai la costa del Sinai, che nel 1985 era completamente brulla e desertica, completamente cambiata, ricoperta di immense costruzioni turistiche, ma anche di palme e altre essenze, piantate a migliaia, che avevano cambiato totalmente il paesaggio originario.
Mi chiesi allora, se sulla costa il paesaggio era così mutato, che cosa sarebbe accaduto alla barriera corallina che già nell’’85 appariva fragile e delicata (vi trovai infatti stracci di plastica impigliati nelle madrepore e i beduini che abitavano sulle rive certo non impegnati nella tutela).
Invece, immergendomi, ho trovato inaspettatamente una situazione buona. Intanto perché l’aumento della temperatura del mare causata dal global warming – che aveva provocato la moria dei coralli per imbianchimento (bleaching) nei territori più prossimi all’Equatore come le Maldive (che avevo visitato anni prima) – in quei luoghi del Mar Rosso non aveva fatto danni. Questo perché i suoi coralli, trovandosi all’estremo limite settentrionale della fascia dei coralli, tra una latitudine di 30° N e di 30° S. dove la temperatura media del mare è di circa 20-21 gradi, non avevano subito danni dal
riscaldamento globale
. I coralli e le madrepore stanno infatti risalendo verso nord cercando temperature meno torride. E non mi meraviglierei se fra qualche anno vedessimo i primi coralli a Porto Said, allo sbocco nel canale di Suez nel Mediterraneo. Come del resto moltissimi pesci già arrivano nel Mediterraneo dall’Oceano Indiano, causando dei problemi alla fauna indigena.
La barriera corallina che accompagna tutta la costa di Sharm el-Sheikh (che oramai è diventata una meta turistica come Rimini, frequentatissima da italiani) si è conservata bene anche perché i gestori degli alberghi stanno attenti a non farla danneggiare (guai a chi tocca i coralli o ci cammina sopra. Mi è stato riferito che degli operai locali sono stati cacciati via da un’impresa edile perché scoperti che camminavano sul corallo mentre lavoravano). A parte la buona salute del reef che ho visitato lungo tutta la costa del Sinai, anche la varietà delle specie ittiche è rimasta la stessa, a densità praticamente uguale, nonostante il flusso continuo di bagnanti e subacquei. Infine, cespi di corallo colorati e vitali si sono insediati addirittura in piscine di acqua salata, comunicanti col mare, dentro villaggi turistici immensi. Questo dimostra come la natura riesca in qualche maniera a recuperare certe situazioni, offrendo stimoli alla nostra speranza.
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